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TITOLO
 

2012 Lettera sui tagli agli asili nido

2011 Lettera sulla Tragedia di Barletta

2011 Intervento all'orchestra J. FUTURA - Rovereto

2007 Intervento sul Festival dell'economia - Trento

 

 

Egregio direttore

Il dibattito suscitato dalla decisione di dare possibilità ai dipendenti provinciali di distribuire il proprio orario di lavoro con un‘entrata e un'uscita favorevoli alla loro vita è una scelta parziale ma intelligente. Una scelta che sempre più dovrebbe essere studiata anche negli altri ambiti lavorativi.

Chi si scaglia contro questa possibilità offerta dall'ente pubblico ai propri dipendenti fa una battaglia di retroguardia. Il problema è un altro. Sin dagli anni '80, le donne hanno posto l'argomento dei tempi di vita al centro di riflessioni e proposte (purtroppo molte rimaste sulla carta) sul diritto di lavorare fuori casa e al tempo stesso di avere anche l'opportunità di dedicarsi al proprio privato, avendo più tempo per sé e facendo in modo di non dover rinunciare al lavoro per la famiglia; ricordo che anche nell'agenda politica si era fatta la proposta di “lavorare meno e lavorare tutti”, senza sbocchi concreti, mentre in altre realtà, vedi la Francia, sono state fatte scelte in tal senso, con vantaggi notevoli.

Si tratta allora di mettere in discussione proprio i tempi di vita, che incidono nei cambiamenti significativi della nostra esistenza, anche con azioni collettive nei posti di lavoro e con leggi adeguate: sono d'accordo che il settore del commercio e, più in generale quello dei servizi alla persona, è il più penalizzato, ma va trovato un rimedio anche per loro, piuttosto che reclamare che anche i provinciali restino al palo.

A mio parere l'obiettivo per tutti/tutte deve essere quello di far diventare la vita più a misura di persona, nella quale vita possano stare sia il lavoro, come indipendenza economica necessaria, sia la redistribuzione all'interno dei sessi del lavoro di cura, sia il tempo per socializzare e riposare, pensare, occuparsi di politica…e ciò, naturalmente, non solo perché lo chiedono le donne. Devono esserci una mobilitazione culturale e un cambiamento anche da parte degli uomini, altrimenti questi cosiddetti “vantaggi” dei provinciali si risolveranno come sempre in una ricaduta negativa solo sulle donne: scelte che le vedranno occuparsi totalmente di quel lavoro di cura, che già svolgono al 94%. Questa problematica è oggi oggetto di grosse tensioni all'interno dei rapporti di coppia, e dovrà trovare una soluzione per una reale parità tra i sessi.  

Elena Belotti Piazza
Del Coordinamento Donne di Trento
25 novembre 2004

 

 

Gentile Direttore,
le buone prassi "buon rientro" sono protocolli articolati, che dovrebbero essere messi in atto  a tutti i livelli dove lavoratrici e lavoratori si trovano ad operare, sia nel pubblico che nel privato.
Bene ha fatto  la dirigente del servizio personale della PAT, Sandra Visintainer, a pubblicizzare questa iniziativa, che mi auguro  inneschi una catena di approvazione e di imitazione anche in altri contesti lavorativi. E' importante per lavoratrici e lavoratori essere considerati come persone e ovviamente il periodo di assenza per la maternità, paternità, congedi di studio, comandi in altre sedi, malattie, mandato politico amministrativo, non dovrebbero pesare come una colpa al rientro.
Recriminare  per supposti privilegi non ha nessun senso. Quando le buone prassi servono a migliorare la qualità della vita e del lavoro, ben vengano per tutte e tutti. Chi ha le competenze si dia da fare per ottenere risultati in questo senso.

Elena Belotti - Pubblicata dall'Adige il 12 maggio 2007